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Primo (ed ultimo) di un casato che per secoli non aveva mai saputo fare neppure l'addizione delle proprie spese e la sottrazione dei propri debiti, possedeva forti e reali inclinazioni alle matematiche;

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Sollecitato da una parte dall'orgoglio e dall'intellettualismo materno, dall'altra dalla sensualità e faciloneria del padre, il povero principe Fabrizio viveva in perpetuo scontento pur sotto il cipiglio zeusiano, e stava a contemplare la rovina del proprio ceto e del proprio patrimonio senza avere nessuna attività ed ancora minor voglia di porvi riparo.

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Vero anche questo; ma i Re che incarnano una idea non devono, non possono scendere, per generazioni, al disotto di un certo livello; se no, caro cognato, anche l'idea ci patisce.

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-E e 'ppeccerelle che fanno? -Il Principe capiva che a questo punto occorreva piazzare l'equivoco salace e bigotto insieme.

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d'altra parte Tancredi non poteva aver mai torto per lo zio; la colpa vera quindi era dei tempi, di questi tempi sconclusionati durante i quali un giovanotto di buona famiglia non era libero di fare una partita a faraone senza inciampare in amicizie compromettenti.

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tutto era cancellato da quel profumo islamico che evocava urí e carnali oltretomba.

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Quello lí pure, un bel tipo, che attizza la brace che lo divorerà.

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-Un grande duello, zio. Un duello con Franceschiello Dio Guardi.

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Per il Re, certo, ma per quale Re? Il ragazzo ebbe uno di quei suoi accessi di serietà che lo rendevano impenetrabile e caro. -Se non ci siamo anche noi, quelli ti combinano la repubblica. Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi. Mi sono spiegato?

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La casa era serena, luminosa e ordinata; soprattutto era sua. Scendendo le scale, capí. Se vogliamo che tutto rimanga com'è... Tancredi era un grand'uomo: lo aveva sempre pensato.

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Per il povero Re l'amministrazione fantomatica teneva luogo di morfina; lui, Salina, ne aveva una di piú eletta composizione: l'astronomia.

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Crede invece ai tempi gloriosi per la nostra Sicilia, come si esprime lui; cosa che ci è stata promessa in occasione di ognuno dei mille sbarchi, da Nicia in poi, e che non è mai successa. E, del resto, perché avrebbe dovuto succedere?

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E poi, lo zio è tutore di don Tancredi! Il Principe si sentiva umiliato: adesso si vedeva disceso al rango di protetto degli amici di Russo; il suo solo merito, a quanto sembrava, era quello di essere zio di quel moccioso di Tancredi.

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Molte cose sarebbero avvenute, ma tutto sarebbe stato una commedia; una rumorosa, romantica commedia con qualche macchiolina di sangue sulla veste buffonesca. Questo era il paese degli accomodamenti, non c'era la furia francese; anche in Francia d'altronde, se si eccettua il giugno del quarantotto, quando mai era successo qualcosa di serio?

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Il sole, che tuttavia era ben lontano dalla massima sua foga in quella mattina del 13 maggio, si rivelava come l'autentico sovrano della Sicilia: il sole violento e sfacciato, il sole narcotizzante anche, che annullava le volontà singole e manteneva ogni cosa in una immobilità servile, cullata in sogni violenti, in violenze che partecipavano dell'arbitrarietà dei sogni. -Ce ne vorranno di Vittori Emanueli per mutare questa pozione magica che ci viene versata.

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-Non siamo ciechi, caro Padre, siamo soltanto uomini. Viviamo in una realtà mobile alla quale cerchiamo di adattarci come le alghe si piegano sotto la spinta del mare. Alla Santa Chiesa è stata esplicitamente promessa l'immortalità; a noi, in quanto classe sociale, no. Per noi un palliativo che promette di durare cento anni equivale all'eternità.

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Sarebbe una bella coppia. Ma temo che Tancredi debba mirar piú in alto, intendo dire piú in basso.

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Se tu potrai farti fare i biglietti di visita con Duca di Querceta sopra, e se quando me ne andrò erediterai quattro soldi, lo dovrai a Tancredi ed agli altri come lui.

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-A proposito, bisogna che Paolo vada a stare a Palermo; case abbandonate, in questi momenti, sono case perdute. Gliene parlerò a cena.

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accanto al fabbricato un pozzo profondo, vigilato da quei tali eucaliptus, offriva muto i vari servizi dei quali era capace: sapeva far da piscina, da abbeveratoio, da carcere, da cimitero.

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Aiutò la Principessa a scendere dalla vettura, spolverò con la manica la tuba del Principe, distribuí caramelle alle cugine e frizzi ai cuginetti, si genuflesse quasi dinanzi al Gesuita, ricambiò gl'impeti passionali di Bendicò, consolò mademoiselle Dombreuil, prese in giro tutti, incantò tutti.

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Venne accontentato senz'altro, perché il preannunzio era stato sufficiente ad allontanare da un salotto un ritratto di re Ferdinando II in pompa magna ed a farlo sostituire con una neutrale Probatica piscina; operazione che univa i vantaggi estetici a quelli politici.

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Il che confermò sempre piú il Principe nella esattezza delle proprie previsioni.

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Si erano dovuti condurre, infatti, ellittici negoziati in amministrazione, con persone influenti di Girgenti, negoziati che si conchiusero con sorrisi, strette di mano e tintinnii di monete.

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erano lieti di vedere adesso l'autentico gattopardo in pantaloni di piqué distribuire zampate amichevoli a tutti e sorridere nel volto bonario di felino cortese.

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Ed il Principe, che aveva trovato Donnafugata immutata, venne invece trovato molto mutato lui, che mai prima avrebbe adoperato un modo di dire tanto cordiale; e da quel momento, invisibile, cominciò il declino del suo prestigio.

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era curioso di rivedere quella pastorella agghindata;

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Un uomo di quarantacinque anni può credersi ancora giovane fino al momento in cui si accorge di avere dei figli in età di amare. Il Principe si sentí invecchiato di colpo; dimenticò le miglia che percorreva cacciando, i Gesummaria che sapeva provocare, la propria freschezza attuale al termine di un viaggio lungo e penoso; di colpo vide sé stesso come una persona canuta che accompagna uno stuolo di nipotini a cavallo alle capre di Villa Giulia.

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Conquistato da sempre dall'affettuosità beffarda del ragazzo, da pochi mesi aveva cominciato ad ammirare anche l'intelligenza di lui: quella rapida adattabilità, quella penetrazione mondana, quell'arte innata delle sfumature che gli dava agio di parlare il linguaggio demagogico di moda pur lasciando capire agli iniziati che ciò non era che un passatempo al quale lui, il Principe di Falconeri, si abbandonava per un momento, tutte queste cose lo avevano divertito; e nelle persone del carattere e della classe di don Fabrizio la facoltà di esser divertiti costituisce i quattro quinti dell'affetto.

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E che quantità di penose conversazioni in vista.

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-Beato lui, se ne strafotte adesso di figlie, doti e carriere politiche.

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una gialla luce circoscritta;

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Non rise invece il Principe sul quale, è lecito dirlo, la notizia fece un effetto maggiore che non il bollettino dello sbarco a Marsala. Quello era stato un avvenimento previsto, non solo, ma anche lontano ed invisibile. Adesso, sensibile com'egli era ai presagi ed ai simboli, contemplava una rivoluzione in quel cravattino bianco ed in quelle due code nere che salivano le scale di casa sua. Non soltanto lui, il Principe, non era piú il massimo proprietario di Donnafugata, ma si vedeva anche costretto a ricevere, vestito da pomeriggio, un invitato che si presentava in abito da sera.

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Perfettamente adeguato quale manifestazione politica, si poteva però affermare che, come riuscita sartoriale, il frac di don Calogero era una catastrofe.

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Padre Pirrone, in un angolo buio, se ne stava a meditare e pensava alla Sacra Scrittura, che quella sera gli si presentava soltanto come una successione di Dalile, Giuditte ed Ester.

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Il sangue le affluiva alle gote ed essa era pericolosamente gradevole da guardare:

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La pioggia era venuta, la pioggia era andata via; ed il sole era risalito sul trono come un re assoluto che, allontanato per una settimana dalle barricate dei sudditi, ritorna a regnare iracondo ma raffrenato da carte costituzionali.

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dopo quest'intermezzo assordante si svoltava su per un pendio e ci si trovava nell'immemoriale silenzio della Sicilia pastorale.

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La rivoluzione borghese che saliva le sue scale nel frack di don Calogero, la bellezza di Angelica che poneva in ombra la grazia contegnosa della sua Concetta, Tancredi che precipitava i tempi dell'evoluzione prevista e cui anzi l'infatuazione sensuale dava modo di infiorare i motivi realistici; gli scrupoli e gli equivoci del Plebiscito; le mille astuzie alle quali doveva piegarsi lui, lui il Gattopardo, che per anni aveva spazzato via le diffficoltà con un rovescio della zampa.

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si accorse che stava invidiando le possibilità di quei tali Fabrizi Salina e Tancredi Falconeri di tre secoli prima, che si sarebbero cavati la voglia di andare a letto con le Angeliche dei loro tempi senza dover passare davanti al parroco, noncuranti delle doti delle villane (che del resto non esistevano) e scaricati delle necessità di costringere i loro rispettabili zii a danzar fra le uova per dire o tacere le cose appropriate.

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Quando poi si fu accorto che questo squarcio giacobino era esattamente racchiuso in un foglio, cosicché, volendo, si poteva far leggere la lettera pur sottraendone il capitoletto rivoluzionario, la sua ammirazione per il tatto di Tancredi raggiunse lo zenit.

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Don Fabrizio e Tumeo salivano, scendevano, sdrucciolavano ed erano graffiati dalle spine tale e quale come un Archedamo o un Filostrato qualunque erano stati stancati o graffiati venticinque secoli prima: vedevano gli stessi oggetti, un sudore altrettanto appiccicaticcio bagnava i loro abiti, lo stesso indifferente vento senza soste, marino, muoveva i mirti e le ginestre, spandeva l'odore del timo.

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Sotto il sole costituzionale don Fabrizio e don Cicclo furono poi sul punto di assopirsi.

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monosillabica opinione

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adesso sapeva chi era stato ucciso a Donnafugata, in cento altri luoghi, nel corso di quella nottata di vento lercio: una neonata: la buonafede:

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Ero un fedele suddito, sono diventato un borbonico schifoso, Ora tutti savoiardi sono!

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(quando la figlia era in collegio, lui e la moglie mangiavano in due un uovo fritto),

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Questo è don Calogero, Eccellenza, l'uomo nuovo come deve essere; è peccato però che debba essere cosí.

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una rosa cui il soprannome del nonno era servito solo da fertilizzante.

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E mentre ridiscendevano verso la strada, sarebbe stato difficile dire quale dei due fosse don Chisciotte e quale Sancio.

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davanti alla memoria gli passò l'immagine di uno di quei quadri storici francesi nei quali marescialli e generali austriaci, carichi di decorazioni e pennacchi, sfilano, arrendendosi, dinanzi a un ironico Napoleone: loro sono piú eleganti, é indubbio, ma il vittorioso è l'omiciattolo in cappottino grigio;

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Sprovvisto del senso di adattazione dell'abito alle circostanze che nel Principe era innato,

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il Principe dovette pagare la salvezza divenendo esplicito una volta tanto in vita sua.

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Terzo, un dispetto personale, quello di chi si sia illuso di controllare tutti, e che trova invece che molte cose si svolgono senza la propria conoscenza.

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(Questa insinuazione, perfida, fu del tutto sprecata, ché don Calogero ignorava assolutamente lo Statuto dell'Ordine Gerosolimitano di San Giovanni).

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forse impossibile ottenere la distinzione, la delicatezza, il fascino di un ragazzo come lui, senza che i suoi maggiori abbiano dilapidato una mezza dozzina di grossi patrimoni. Almeno in Sicilia è cosí; è una specie di legge di natura, come quelle che regolano i terremoti e le siccità.

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La volgarità ignorante gli sprizzava da tutti i pori; malgrado ciò i suoi due ascoltatori furono sbalorditi: don Fabrizio ebbe necessità di tutto il proprio controllo per nascondere la sorpresa: il colpo di Tancredi era piú sbardellato di quanto si potesse supporre.

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ci contenteremo di dire che l'uscita araldica di don Calogero recò al Principe l'impareggiabile soddisfazione artistica di vedere un tipo realizzarsi in tutti i suoi particolari, e che il proprio riso depresso gli addolcí la bocca fino alla nausea.

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Fu accompagnato per due salotti, fu riabbracciato, e si mise a scendere le scale mentre il Principe, torreggiando dall'alto, guardava rimpicciolirsi quel mucchietto di astuzia, di abiti maltagliati, di oro e d'ignoranza, che adesso entrava quasi a far parte della famiglia.

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Allevato e vissuto in vallette amene percorse dagli zeffiri cortesi dei per piacere, ti sarei grato, mi faresti un favore, sei stato molto gentile, il Principe adesso, quando chiacchierava con don Calogero, si trovava invece allo scoperto su una landa spazzata da venti asciutti, e pur continuando a preferire in cuor suo gli anfratti dei monti non poteva non ammirare la foga di questa corrente d'aria che dai lecci e dai cedri di Donnafugata traeva arpeggi mai uditi.

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don Fabrizio raccontava a don Calogero i propri affari, che erano numerosi, complessi e da lui stesso mal conosciuti: questo non già per difetto di penetrazione, ma per una sorta di sprezzante indifferenza al riguardo di questo genere di cose, reputate infime,

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ma fu da quel momento che si iniziò, per lui ed i suoi, quel costante raffinarsi di una classe che nel corso di tre generazioni trasforma innocenti cafoni in gentiluomini indifesi.

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-Non ci sarà bisogno, zio; la misura è esatta; l'avevo presa prima; -e don Fabrizio tacque: aveva riconosciuto un maestro.

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soleva dire che un palazzo del quale si conoscevano tutte le camere non era degno di essere abitato.

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L'iscrizione: “Corso Vittorio Emanuele”, che con i suoi caratteri azzurri su fondo bianco ornava la casa in sfacelo che gli stava di fronte, non bastava a convincerlo che si trovasse in un posto che dopo tutto era la sua stessa nazione;

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Questo fu notato da Tancredi che venne subito assalito dal singolare prurito isolano di raccontare ai forestieri storie raccapriccianti, purtroppo sempre autentiche.

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In Sicilia non importa far male o far bene: il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di fare.

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e che cosa se ne farebbe il Senato di me, di un legislatore inesperto cui manca la facoltà di ingannare sé stesso, questo requisito essenziale per chi voglia guidare gli altri?

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lei ha ragione in tutto; si è sbagliato soltanto quando ha detto: i Siciliani vorranno migliorare.

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i Siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti; la loro vanità è piú forte della loro miseria; ogni intromissione di estranei sia per origine sia anche, se Siciliani, per indipendenza di spirito, sconvolge il loro vaneggiare di raggiunta compiutezza, rischia di turbare la loro compiaciuta attesa del nulla; calpestati da una diecina di popoli differenti, essi credono di avere un passato imperiale che dà loro diritto a funerali sontuosi.

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La ragione della diversità dev'essere in quel senso di superiorità che barbaglia in ogni occhio siciliano, che noi stessi chiamiamo fierezza, che in realtà è cecità.

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Debbo recitare per qualche ora la parte di un uomo civile.

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Noi fummo i Gattopardi, i Leoni: chi ci sostituirà saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti, gattopardi, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra.

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-Vedete, don Pietrino, i signori come dite voi, non sono facili a capirsi. Essi vivono in un universo particolare che è stato creato non direttamente da Dio ma da loro stessi durante secoli di esperienze specialissime, di affanni e di gioie loro; essi posseggono una memoria collettiva quanto mai robusta, e quindi si turbano o si allietano per cose delle quali a voi ed a me non importa un bel nulla, ma che per loro sono vitali perché poste in rapporto con questo loro patrimonio di ricordi, di speranze, di timori di classe.

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Padre Pirrone pensava che il mondo doveva sembrare un gran rompicapo a chi non conoscesse matematiche né teologia.

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quell'Angelica, sontuosa come il suo nome ariostesco,

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I figli nascono per i padri e non per correre dietro alle sottane.

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Erano contenti davvero, lei di sistemarsi e di avere quel bel maschiaccio a disposizione, lui di aver seguito i consigli paterni e di avere adesso una serva e mezzo mandorleto.

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gran signori erano riservati e incomprensibili, i contadini espliciti e chiari; ma il Demonio se li rigirava attorno al mignolo, egualmente.

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le duecento persone che componevano il morido non si stancavano d'incontrarsi, sempre gli stessi, per congratularsi di esistere ancora.

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Erano soltanto le dieci e mezza, un po' presto per presentarsi a un ballo quando si è il principe di Salina, che è giusto giunga sempre quando la festa abbia sprigionato tutto il proprio calore.

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Era costato un po' di fatica il far rimettere a loro uno di quei biglietti: nessuno li conosceva, e la principessa Maria Stella, dieci giorni prima, aveva dovuto sobbarcarsi a fare una visita a Margherita Ponteleone; tutto era andato liscio, si capisce, ma era stata nondimeno una delle spinucce che il fidanzamento di Tancredi aveva inserito nelle delicate zampe del Gattopardo.

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-Una nuova pagliuzza infastidí le sensibili unghiette del Gattopardo.

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Era uomo di mondo e di maniere rotondissime,

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Solo suo errore fu di portare all'occhiello la croce della Corona d'Italia conferitagli di recente; per altro essa scomparve presto in una delle tasche clandestine del frac di Tancredi.

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Il fidanzato aveva di già insegnato ad Angelica l'impassibilità, questo fondamento della distinzione (-Tu puoi essere espansiva e chiassosa soltanto con me, cara; per tutti gli altri devi essere la futura principessa di Falconeri, superiore a molti, pari a chiunque

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i Ponteleone non avevano rinnovato l'arredamento da settanta anni

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Era bene che dalle tenebre di Donnafugata fosse emersa Angelica per mostrare alle palermitane cosa fosse una bella donna.

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Fra questi signori don Fabrizio passava per essere uno stravagante; il suo interessamento alla matematica era considerato quasi come una peccaminosa perversione, e se lui non fosse stato proprio il principe di Salina e se non lo si fosse saputo ottimo cavallerizzo, infaticabile cacciatore e medianamente donnaiolo, le sue parallassi e i suoi telescopi avrebbero rischiato di farlo mettere al bando.

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Si credevano eterni: una bomba fabbricata a Pittsburgh, Penn., doveva nel 1943 provar loro il contrario.

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Don Fabrizio, ad un tratto, sentí che lo odiava, era all'affermarsi di lui, di cento altri suoi simili, ai loro oscuri intrighi, alla loro tenace avarizia e avidità che era dovuto il senso di morte che adesso, chiaramente, incupiva questi palazzi; si doveva a lui, ai suoi compari, ai loro rancori, al loro senso d'inferiorità, al loro non essere riusciti a fiorire, se adesso anche a lui, don Fabrizio, gli abiti neri dei ballerini ricordavano le cornacchie che planano, alla ricerca di prede putride, al di sopra dei valloncelli sperduti.

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Essi offrivano lo spettacolo patetico piú di ogni altro, quello di due giovanissimi innamorati che ballano insieme, ciechi ai difetti reciproci, sordi agli ammonimenti del destino, illusi che tutto il cammino della vita sarà liscio come il pavimento del salone, attori ignari cui un regista fa recitare la parte di Giulietta e quella di Romeo nascondendo la cripta e il veleno, di già previsti nel copione.

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Né l'uno né l'altro erano buoni, ciascuno pieno di calcoli, gonfio di mire segrete; ma entrambi erano cari e commoventi, mentre le loro non limpide ma ingenue ambizioni erano obliterate dalle parole di giocosa tenerezza che lui le mormorava all’orecchio, dal profumo dei capelli di lei, dalla reciproca stretta di quei loro corpi destinati a morire.

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Si accorse che don Calogero parlava con Giovanni Finale del possibile rialzo del prezzo dei caciocavalli e che, speranzosi di questa beatifica evenienza, i suoi occhi si erano fatti liquidi e mansueti.

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I due giovani guardavano il quadro con noncuranza assoluta. Per entrambi la conoscenza della morte era puramente intellettuale, era per cosí dire un dato di coltura e basta, non una esperienza che avesse loro forato il midollo delle ossa. La morte, sí, esisteva, senza dubbio, ma era roba ad uso degli altri.

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Al momento di uscire Angelica sfiorò con le dita la tappezzeria di una poltrona. Sono carine queste; un bel colore; ma quelle di casa sua, Principe.. La nave procedeva nell'abbrivo ricevuto. Tancredi intervenne: -Basta, Angelica. Noi due ti vogliamo bene anche al di fuori delle tue conoscenze in fatto di mobilio. Lascia stare le sedie e vieni a ballare.

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Ma fu un dolore breve: ad ogni giro un anno gli cadeva giú dalle spalle: presto si ritrovò come a venti anni, quando in quella stessa sala ballava con Stella, quando ignorava ancora cosa fossero le delusioni, il tedio, il resto. Per un attimo, quella notte, la morte fu di nuovo ai suoi occhi roba per gli altri.

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qui da noi, in Italia, non si esagera mai in fatto di sentimentalismi e sbaciucchiamenti: sono gli argomenti politici piú efficaci che abbiamo.

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-Lei non è stato nel continente dopo la fondazione del Regno, Principe? Fortunato lei. Non è un bello spettacolo. Mai siamo stati tanto disuniti come da quando siamo riuniti. Torino non vuol cessare di esser capitale, Milano trova la nostra amministrazione inferiore a quella austriaca, Firenze ha paura che le si portino via le opere d'arte, Napoli piange per le industrie che perde, e qui, qui in Sicilia, sta covando qualche grosso irrazionale guaio...

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delle camicie rosse non si parla piú; ma se ne riparlerà. quando saranno scomparse quelle, ne verranno altre di diverso colore; e poi di nuovo rosse. E come andrà a finire?

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Il colonnello Pallavicino aveva le occhiaie anche lui; dichiarava, però, a chi volesse sentirlo, che non sarebbe andato a casa e che sarebbe passato direttamente da palazzo Ponteleone alla piazza d'armi; cosí infatti voleva la ferrea tradizione seguita dai militari invitati ad un ballo.

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Perché mai Dio voleva che nessuno morisse con la propria faccia? Perché a tutti succede cosí: si muore con una maschera sul volto; anche i giovani; anche quel soldato col viso imbrattato; anche Paolo, quando lo avevano rialzato dal marciapiede con la faccia contratta e spiegazzata mentre la gente rincorreva nella polvere il cavallo che lo aveva sbattuto giú.

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Era inutile sforzarsi a credere il contrario, l'ultimo Salina era lui,

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Perché il significato di un casato nobile, è tutto nelle tradizioni, cioè nei ricordi vitali; e lui era l'ultimo a possedere dei ricordi inconsueti, distinti da quelli delle altre famiglie. Fabrizietto avrebbe avuto dei ricordi banali, eguali a quelli dei suoi compagni di ginnasio, ricordi di merende economiche, di scherzucci malvagetti agli insegnanti, di cavalli acquistati avendo l'occhio al loro prezzo piú che ai loro pregi;

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Lui stesso aveva detto che i Salina sarebbero sempre rimasti i Salina. Aveva avuto torto. L'ultimo era lui. Quel Garibaldi, quel barbuto Vulcano aveva dopo tutto vinto.

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(alcuni monologhi, per esser veritieri, durante i quali aveva creduto scoprire nel ragazzo un animo simile al suo);

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Vi erano le prime ore dei suoi ritorni a Donnafugata, il senso di tradizione e di perennità espresso in pietra ed in acqua, il tempo congelato;

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fra un mese, fra due, tutto sarebbe dilagato: come tutto dilaga in quest'isola che anziché la Trinacria dovrebbe avere a proprio simbolo il siracusano Orecchio di Dionisio che fa rimbombare il più lieve sospiro in un raggio di cinquanta metri.

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