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Raramente mi capita di arrabbiarmi per cose di tutti i giorni. Bea mi dice che non mi arrabbio mai e Pietro dice che sono tra i pochi con cui non ha mai litigato. È strano, ma non mi dispiace. Arrabbiarsi è spesso una perdita di tempo e soprattutto di forze.

Se arrabbiarmi con le persone non mi succede quasi mai, compenso però facendolo violentemente con delle cose più grandi e in qualche senso sistemiche ossia la scuola, la politica, le élite italiane etc. È sempre stato così. Però, ultimamente noto che succede sempre più spesso e mi piacerebbe capire se ci sia dietro qualche motivo valido o se sia semplicemente alla fine della mia sanità. Sentire certe cose tipo stamattina del fallimento del contact tracing tre anni fa perché la gente credeva nel complotto, o leggere chi condivide articoli sulla decrescita "felice" mi mette una rabbia che dura spesso diverse ore. Nella mia testa per un po' ci sono solo polemiche su questi temi. Oggi è stato particolarmente presente questo sentimento: Rugge si interrogava sullo sfascio italiano e su chi ne sia responsabile, e Pietro ha detto di non essere mai uscito da una classe di ScPo sapendo di più su qualcosa rispetto a quando ci è entrato. Diciamo che sono stato aiutato.

Ecco: niente al momento, ma direi da diversi anni, mi fa arrabbiare quanto Sciences Po e tutto quello che rappresenta - anche se forse l'Italia ci si avvicina. Arrabbiarmi non mi piace: so che quello che dico da arrabbiato è meno razionale di quanto vorrei e che è più estremo di quanto si dovrebbe comunicare in pubblico. Dire che l'Italia sarà un paese migliore una volta che finalmente seppelliranno Ernesto Galli della Loggia e tutti i moralisti senza competenze come lui che "scrivono" per il Corriere non è socialmente accettabile ma io ci credo profondamente quando sono arrabbiato (e anche quando non lo sono, ma non lo dico).

Esserlo, però, ti mette in qualche senso in una posizione inferiore. Rispetto a questo tema penso sempre alla lettera che scriverò a ScPo una volta che me ne vado. Credo profondamente che il sistema che per me è incarnato da questa istituzione sia corrotto e self-serving, e glielo scriverò insieme a tutte le altre rimostranze che ho sempre avuto. Ma mentre questa rabbia per me è all-consuming, la maggioranza dei destinatari di questa mail non la leggeranno, e se la leggeranno ci passeranno sopra e dormiranno comunque tranquillamente. È la stessa cosa della lettera a Guriev. Io infiammato scrivo 1000 parole e lui risponde solo dopo sollecito con 100 senza "scendere" a dibattere con me del merito. Allo stesso modo penso che non avrei problemi a dire in faccia a EGdL o qualche membro della élite culturale e politica peggiore d'Europa che il giorno che scoppia stappo champagne: ma allo stesso modo penso che lui/lei non sarebbe minimamente rilevato dal mio commento.

Non so gli altri che pensino di questo mio metodo di esprimermi o modo di essere, o che cosa voglia dire che sono fatto così (specialmente rispetto al mio non arrabbiarmi con le persone). Però non posso non pensare a come allora ci si dovrebbe comportare. Starei forse meglio se ogni giorno non ci fosse almeno una cosa che mi consuma di rabbia per almeno mezz'oretta. Però allora tutti i valori che mi fanno credere così profondamente in queste cose dove finirebbero? Potrei averli ancora? Se riuscissi a leggere che Salvini ha invitato l'ambasciatore cinese a posare la prima pietra del ponte sullo Stretto senza reazioni sarei una persona migliore? Se leggere le minchiate che qualche mitomane di ScPo scrive su LinkedIn non mi facesse nessun effetto vivrei meglio nel lungo termine? O semplicemente queste reazioni sono un desiderio che il mondo si tenga ad un livello minimo di decenza che giudicherei appropriato? Non lo so.

Forse il segreto è fare finta che queste cose non esistano. Può essere che chi riesce ad isolarsene viva meglio. Non è questa l'atarassia? Forse sì. Ha senso raggiungerla? Si può vivere in una società in questo stato? Si ha voglia di contribuirci?