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Del resto già Omero nell’ottavo dell’Odissea diceva che gli dèi tessono disgrazie affinché alle future generazioni non manchi di che cantare.

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Parlare mi era facile: bastava aprire la bocca, e venivano fuori idee, iniziative, programmi, e una volta venuti fuori parevano autorevoli: è un bel vantaggio l’educazione umanistica.

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Di questi grandi villeggianti della guerra civile, la borghesia urbana ne ha prodotti parecchi; non pochi di loro sono oggi energicamente schierati dalla parte degli angeli, hanno fatto carriera, e speriamo che siano contenti.

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Naturalmente ci avrebbero presto sterminati, almeno la prima infornata, e poi anche la seconda e la terza. Ma almeno l’Italia avrebbe provato il gusto di ciò che deve voler dire rinnovarsi a fondo, e le nostre lapidi sarebbero oggi onorate da una nazione veramente migliore.

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Non si può domandare: «Ciò, che ethos gavìo vialtri?». Non è che manchi una parola per caso, per una svista dei nostri progenitori che hanno fabbricato il dialetto.

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Antonio era un italiano in un senso in cui nessun altro nostro conoscente lo era; stando vicino a lui ci sentivamo entrare anche noi in questa tradizione. Sapevamo appena ripetere qualche nome, Salvemini, Gobetti, Rosselli, Gramsci, ma la virtù della cosa ci investiva. Eravamo catecumeni, apprendisti italiani.

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Che casino è il paese reale!

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per un po’ mi venne una specie di emozione che non mi aspettavo, come se uno viaggiando in Cina si affacciasse a una valle remota, e gli apparisse lì sotto Thiene, il fumo di Schio, e le montagnole sotto le quali c’è il suo paese, casa sua.

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L’irresponsabilità di Bene era sempre umanistica, signorile, civilissima.

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In certi momenti ci pareva di essere il governo ombra del Veneto; in altri momenti ci si sentiva i soliti quattro gatti, che andavano in giro in bicicletta a contarsi a vicenda.

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Come si concentrano le cose: si taglia il grano, si ammucchia la paglia, si allevano i bambini e le bambine, si cominciano le guerre, cento correnti s’incrociano, e a un certo punto c’è la Simonetta in questa guerra, su questa paglia.

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Così accompagnammo a Padova l’ottava armata, e poi io e la Simonetta andammo a dormire, e loro li lasciammo lì in una piazza.

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